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«Il feto è incompatibile con il suo corpo. Prima di tutto è troppo forte, anche se probabilmente lei potrebbe resistere ancora per un po’. Il problema maggiore è che non le permette di sostentarsi come dovrebbe. Il suo corpo rifiuta qualsiasi forma di nutrimento. Sto tentando di alimentarla per endovena, ma non assorbe niente. La guardo... Guardo lei e il feto morire di fame. Non solo non posso fermare tutto questo, ma non posso nemmeno rallentarlo. Non riesco a capire cosa vuole». Completò la frase con voce rotta.

Mi sentivo come il giorno prima, quando avevo visto le macchie nere sul suo ventre: furioso e sull’orlo della pazzia.

Strinsi i pugni per tenere a bada il tremore. Odiavo la cosa che la faceva soffrire. Quel mostro non si accontentava di farle passare le pene dell’inferno, no. Doveva anche farla morire di fame. Probabilmente cercava solo qualcosa in cui affondare i denti: una gola da prosciugare. Finché non fosse stato grosso abbastanza per uccidere qualcun altro, avrebbe succhiato la vita a Bella.

Sapevo perfettamente cosa voleva: morte e sangue, sangue e morte.

Ero accaldato, mi sentivo prudere ovunque. Inspiravo ed espiravo lentamente, nel tentativo di calmarmi.

«Vorrei tanto avere un’idea più precisa di cosa sia», mormorò Carlisle. «Il feto è molto protetto. Non sono stato in grado di fare un’ecografia. Dubito che sia possibile introdurre un ago attraverso la sacca amniotica e in ogni caso Rosalie non mi lascerebbe neppure provare».

«Un ago?», farfugliai. «A che servirebbe?».

«Più cose so sul feto, meglio posso prevedere di cosa sarà capace. Non sai che darei per un po’ di liquido amniotico. Mi basterebbe conoscere il numero dei cromosomi...».

«Non ti seguo più, dottore. Puoi parlare come mangi?».

Ridacchiò, ma anche la sua risata suonava sfinita. «Okay. Hai studiato biologia? Hai mai sentito parlare di coppie di cromosomi?».

«Credo di sì. Ne abbiamo ventitré, giusto?».

«Gli umani sì».

Battei le palpebre. «E voi quante ne avete?».

«Venticinque».

Corrugai la fronte. «Che vuol dire?».

«Pensavo significasse che le nostre specie fossero quasi del tutto diverse. Che non avessero in comune niente di più di quello che hanno un leone e un gatto domestico. Ma questa nuova vita, be’, mi fa supporre che geneticamente siamo più compatibili di quanto immaginassi». Sospirò triste. «Se lo avessi saputo prima, li avrei messi in guardia».

Sospirai anch’io. Era stato facile odiare Edward in nome della sua ignoranza, e lo era ancora. Ma non lo era altrettanto avercela con Carlisle. Forse perché, nel caso del dottore, non ero accecato dalla gelosia.

«Conoscere il numero delle coppie di cromosomi sarebbe utile per sapere se il feto somiglia più a noi o a lei. Per sapere cosa dobbiamo aspettarci». Si strinse nelle spalle. «Oppure non servirebbe a niente. Forse ho solo voglia di avere qualcosa da studiare, qualcosa da fare».

«Chissà quante coppie di cromosomi ho io», biascicai, senza neppure badarci. Ripensai ai controlli antidoping durante le competizioni olimpiche. Lo facevano, l’esame del DNA?

Carlisle tossì. «Ne hai ventiquattro, Jacob».

Mi voltai e lo fissai, inarcando le sopracciglia.

Sembrava in imbarazzo. «Ero... curioso. Mi sono preso la libertà lo scorso giugno, mentre ti curavo».

Ci pensai su un attimo. «Forse dovrei incazzarmi. Ma a dire il vero non m’importa».

«Scusa. Avrei dovuto chiederti il permesso».

«È tutto a posto, dottore. Non volevi farmi del male».

«No, ti assicuro che non volevo farti del male. È solo che sono affascinato dalla tua specie. Nel corso dei secoli, gli elementi della natura vampiresca sono diventati banali per me. Trovo molto più interessanti le differenze fra la tua famiglia e il genere umano. C’è qualcosa di magico».

«Bibidi bobidi bu», bofonchiai. Mi tornarono in mente le stupidaggini che mi aveva detto Bella riguardo alla magia.

Carlisle rise, sempre più esausto.

Fu allora che sentimmo la voce di Edward provenire da dentro casa e tacemmo entrambi per ascoltare.

«Torno subito, Bella. Devo parlare con Carlisle. Ehm, Rosalie, vieni con me?». La voce di Edward era diversa, con un briciolo di vita, una scintilla. Più che speranza, trapelava un desiderio di speranza

«Che c’è, Edward?», chiese Bella, rauca.

«Niente di cui tu debba preoccuparti, amore. Ci metto un attimo. Rose, ti prego!».

«Esme?», chiamò Rosalie. «Mi dai il cambio con Bella?».

Sentii un fruscio: Esme si librava verso il piano di sotto.

«Certo», rispose.

Carlisle si voltò. Guardava la porta carico di aspettativa. Apparve Edward, seguito da Rosalie. Il suo volto, come la voce, non era più morto. Sembrava concentratissimo. Rosalie era guardinga.

Edward chiuse la porta.

«Carlisle», mormorò.

«Cosa c’è, Edward?».

«Forse abbiamo affrontato la cosa nel modo sbagliato. Stavo ascoltando la vostra conversazione e quando parlavi di ciò che vuole il... feto, Jacob ha avuto un’intuizione interessante».

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