— Nessuno sa chi fossero, cosa rappresentassero, e perché siano state create con tanta fatica, in un luogo così inaccessibile. La teoria più in voga sostiene che si trattasse di creature celestiali e che tutti gli sforzi di Kalidas siano stati rivolti alla creazione di un paradiso sulla terra, popolato da dee. Forse si riteneva un Re-Dio, come già avevano pensato i faraoni d'Egitto; forse è per questo che da loro ha ripreso l'immagine della sfinge, messa a guardia dell'entrata del palazzo.
Adesso la proiezione laser mostrava la Montagna vista da lontano, riflessa nel laghetto alla sua base. L'acqua tremò, il profilo di Yakkagala tremolò e si dissolse. Quando l'immagine si riformò, la Montagna era coronata di mura e bastioni e spirali che ne occupavano l'intera superficie. Era impossibile vedere tutto chiaramente: le cose erano atrocemente sfumate, come le immagini di un sogno. Nessuno avrebbe mai saputo quale fosse il "vero" aspetto del palazzo di Kalidas prima di essere distrutto da coloro che volevano cancellare il nome stesso del re.
— E lui visse qui per quasi vent'anni, in attesa della tragedia che sapeva inevitabile. Le sue spie devono averlo informato che, con l'aiuto dei re dell'Indostan del sud, Malgara stava pazientemente raccogliendo un esercito.
"E finalmente Malgara giunse. Dall'alto della Montagna Kalidas vide gli invasori che marciavano da nord. Forse si riteneva inespugnabile, ma non volle mettere alla prova la fortezza. Lasciò il sicuro rifugio della grande cittadella e corse incontro al fratello, sul terreno neutro fra i due eserciti. Molti pagherebbero una fortuna per sapere quali parole si dissero in quell'ultimo incontro. Alcuni dicono che prima di dividersi si siano abbracciati. Potrebbe essere vero.
"Poi gli eserciti, come onde del mare, si scontrarono. Kalidas combatteva sul proprio territorio, con uomini che conoscevano il terreno, e in un primo tempo parve certo che la vittoria dovesse andare a lui. Ma poi si verificò un altro di quegli incidenti che determinano il destino delle nazioni.
"Il grande elefante da guerre di Kalidas, bardato delle insegne reali, girò su se stesso per evitare un acquitrino. I difensori di Yakkagala pensarono che il re battesse in ritirata. Il loro morale andò a pezzi. Fuggirono, raccontano le Cronache, come fuscelli di paglia davanti al decuscutatore.
"Kalidas venne ritrovato sul campo di battaglia, morto di propria mano. Malgara diventò re. E Yakkagala fu abbandonata alla giungla, per essere riscoperta solo dopo millesettecento anni."
5
Guardando nel cannocchiale
"Il mio vizio segreto" lo chiamava Rajasinghe, con un certo divertimento ma anche con una punta di rimpianto. Erano anni che non saliva a piedi fino alla cima di Yakkagala; poteva arrivarvi in volo quando voleva, ma non provava lo stesso senso di soddisfazione. Arrivare sulla montagna a quel modo significava rinunciare ai dettagli architettonici più affascinanti della scalata. Nessuno poteva sperare di comprendere la personalità di Kalidas senza seguire esattamente i suoi passi, dai Giardini del Piacere al palazzo aereo.
Però esisteva un surrogato che poteva riservare soddisfazioni considerevoli a un uomo non più giovane. Anni prima aveva acquistato un cannocchiale da venti centimetri, robusto e potente, grazie al quale riusciva a scrutare l'intera parete ovest della Montagna, seguendo la strada che tante volte aveva percorso per arrivare alla cima. Quando guardava attraverso i due oculari gli era facile immaginare di trovarsi a mezz'aria, tanto vicino al granito da potersi protendere a toccarlo.
Nel tardo pomeriggio, quando i raggi del sole al tramonto scendevano al di sotto della sporgenza rocciosa che proteggeva gli affreschi, Rajasinghe rendeva loro visita e porgeva i suoi omaggi alle signore della corte. Le amava tutte, ma aveva le sue favorite. A volte conversava in silenzio con loro, usando le parole e le frasi più arcaiche che conosceva, ben consapevole che il suo taprobani più antico era nato a mille anni nel "loro" futuro.
Lo divertiva anche osservare gli esseri umani, studiare le loro reazioni mentre si arrampicavano sulla Montagna, si fotografavano a vicenda sulla cima, o ammiravano gli affreschi. Non potevano nemmeno sospettare di essere accompagnati da uno spettatore invisibile (e invidioso), che senza sforzi si muoveva al loro fianco come uno spettro silenzioso, così vicino da riuscire a scorgere ogni espressione, ogni particolare dei vestiti. Il cannocchiale era talmente potente che se Rajasinghe fosse stato capace di leggere sulle labbra, avrebbe potuto origliare le conversazioni dei turisti.