— Potete usare il mio terminale. Vi prometto che troverete affascinante lo spettacolo, e dura solo un'ora. Oh, me ne scordavo. Non volete che nessuno sappia che siete qui. Non importa, vi presenterò come il dottor Smith dell'università di Tasmania. Sono certo che i miei amici non vi riconosceranno.
Rajasinghe non voleva offendere il suo ospite, ma il breve scatto d'irritazione di Morgan era fin troppo esplicito. I suoi istinti da ex diplomatico entrarono immediatamente in azione: registrò quella reazione e l'archiviò nel cervello.
— Ne sono certo anch'io — disse Morgan, e Rajasinghe notò l'inconfondibile tono d'asprezza della sua voce. — L'idea del dottor Smith è perfetta. E ora… Posso usare il vostro terminale?
Interessante, pensava Rajasinghe mentre guidava l'ospite nella villa, ma probabilmente poco importante. Ipotesi provvisoria: Morgan era un uomo frustrato, forse addirittura deluso. Difficile capire perché, considerato che era uno dei leader nel suo campo. "Cos'altro" potrebbe volere? Esisteva una risposta ovvia. Rajasinghe conosceva benissimo i sintomi, se non altro perché nel suo caso la malattia si era spenta da tempo.
"La fama è lo sprone" recitò nel silenzio dei propri pensieri. Com'era dopo? "Quell'ultimo morbo della nobile mente… Disdegnare i piaceri, e vivere giorni laboriosi."
Sì. Quello poteva spiegare l'insoddisfazione che le sue antenne, ancora sensibili, avevano captato. E d'improvviso ricordò che l'immenso arcobaleno che univa l'Europa all'Africa veniva quasi sempre chiamato Il Ponte… A volte il Ponte di Gibilterra… Ma mai il Ponte di Morgan.
"Ad ogni modo" si disse Rajasinghe, se siete in cerca di fama, dottor Morgan, qui non la troverete. E allora perché mai, in nome di mille 'yakkas', siete venuto nella mia piccola, tranquilla Taprobane?"
3
Le fontane
Per giorni, elefanti e schiavi si erano torturati sotto il sole impietoso, trasportando l'interminabile catena di secchi lungo la faccia del dirupo. — Siete pronti? — aveva chiesto il Re, di tanto in tanto. — No, Maestà — aveva risposto il sovrintendente ai lavori — il serbatoio non è ancora pieno. Ma domani, forse…
Finalmente era giunto domani, e ora l'intera corte era radunata nei Giardini del Piacere, sotto tende di stoffa dai colori vivaci. Al Re facevano fresco grandi ventagli, agitati da supplicanti che avevano pagato il ciambellano per quel privilegio rischioso. Era un onore che poteva condurre alla ricchezza, o alla morte.
Tutti gli occhi erano puntati sulla Montagna, e sulle minuscole figure che si muovevano sulla sua cima. Venne agitato uno stendardo; molto più in basso, un corno risuonò brevemente. Alla base del dirupo, gli operai mossero freneticamente le leve, tirarono le corde. Eppure, per lungo tempo non successe niente.
Sulla faccia del Re cominciò ad apparire una ruga, e L'intera corte tremò. Per qualche secondo persino i ventagli si agitarono più piano, ma ripresero subito velocità, non appena chi li reggeva ricordò i pericoli di quel compito. Poi gli uomini ai piedi di Yakkagala uscirono in un grande urlo, un grido di gioia e di trionfo che si fece sempre più vicino, correndo lungo i sentieri circondati di fiori. E col grido arrivò anche un altro suono, non troppo forte, che però dava l'impressione di forze irresistibili, domate, protese verso lo scopo che dovevano raggiungere.
L'una dopo l'altra, nascendo dal terreno come per magia, le snelle colonne d'acqua si lanciarono verso il cielo senza nubi. Alte quattro volte un uomo, fiorirono in una rugiada di spruzzi. Il sole che si rifrangeva su di loro creava una nebbiolina d'arcobaleni che rendeva ancora più strana e più bella la scena. Mai, nell'intera storia di Taprobane, occhi umani avevano visto una meraviglia simile.
Il Re sorrise, e i cortigiani trovarono il coraggio di tirare di nuovo il respiro. Questa volta le tubature interrate non erano esplose sotto la pressione dell'acqua. A differenza dei loro sfortunati predecessori, i muratori che le avevano deposte avevano discrete possibilità di arrivare alla vecchiaia, come tutti quelli che lavoravano per Kalidas.
Con la stessa lentezza del sole al tramonto, le colonne d'acqua stavano diventando più piccole. Adesso non erano più alte d'un uomo: i serbatoi riempiti con tanta fatica erano quasi vuoti. Ma il Re era estremamente soddisfatto. Alzò la mano, e le fontane guizzarono e si levarono di nuovo come per rendere un ultimo omaggio al trono, poi si esaurirono in silenzio. Per un po' le acque si agitarono avanti e indietro sulla superficie delle vasche; poi tornarono di nuovo a essere specchi immobili, che riflettevano l'immagine della Montagna eterna.
— Gli uomini hanno lavorato bene — disse Kalidas. — Ridate loro la libertà.
"Quanto" bene, ovviamente, non lo avrebbero mai capito, perché nessuno poteva condividere le visioni solitarie di un artista-re. E Kalidas, mentre scrutava i meravigliosi giardini che circondavano Yakkagala, provò il massimo della felicità che gli era concessa.