Читаем Padrone della vita, padrone della morte полностью

— Naturalmente. È proprio qui. — McLeod fece per estrarre il rapporto preannunciato dalla sua valigetta diplomatica.

— Non ancora, mi scusi — disse Walton. — Voglio vedere anche le altre fotografie, prima. — Le guardò una dopo l'altra, rapidamente, finché non trovò una foto che mostrava una strana figura massiccia, con quattro braccia, di colore verde ramarro. La creatura aveva una testa priva di collo, incassata in una specie di maschera respiratoria ricavata da qualche sostanza che somigliava a plastica trasparente. Tre occhi freddi e pensosi si aprivano in quella faccia totalmente aliena.

— E questo cos'è? — domandò Walton, fissando perplesso la fotografia.

— Oh, questo. — McLeod tentò di sorridere allegramente, ma non fu un tentativo del tutto riuscito. — Questo è un dirnano. I dirnani vivono su Procione IX, uno dei pianeti giganti con atmosfera di ammoniaca. Sono loro gli stranieri che non gradiscono la nostra presenza lassù, nel loro sistema. Che cosa gliene pare, signore?

12

Walton fissò la fotografia… la fotografia dello straniero. C'era intelligenza, nella creatura… sì, intelligenza e comprensione, e perfino una strana forma di umanità. Sospirò. C'erano sempre delle prove da sostenere, non c'erano mai dei successi senza spine.

— Colonnello McLeod, quanto tempo potrebbe impiegare la sua astronave per ritornare nel sistema di Procione? — chiese al soldato, con aria meditabonda.

McLeod meditò per un momento sulla domanda.

— Direi che il tempo sarebbe quasi nullo, signore. Qualche giorno, al massimo. Perché?

— Era soltanto una mia idea pazza. Mi parli del suo contatto con questi… ah… dirnani.

— Ebbene, signore, costoro sono atterrati dopo che noi avevamo trascorso circa una settimana nell'esplorazione di Nuova Terra. Erano sei, e con loro avevano l'apparecchio per la traduzione istantanea. Ci hanno detto chi erano, e hanno voluto sapere chi eravamo noi. Noi abbiamo risposto. Loro hanno dichiarato di essere i padroni del sistema di Procione, e che non erano propensi a far entrare nel loro sistema un branco famelico di stranieri.

— Sembravano ostili? — domandò Walton.

— Oh, no. Semplicemente protocollari. Parevano degli uomini d'affari, intenti in una discussione normale. Noi avevamo oltrepassato i confini, e loro ci chiedevano di andarcene. Erano freddi, su questo argomento, ma non furiosi. Le loro reazioni non erano emotive, a mio avviso.

— Bene — disse Walton. — Adesso mi ascolti bene. Lei crede di poter tornare su quel pianeta come… be', come ambasciatore della Terra? Per far venire qui uno dei dirnani, allo scopo di discutere un trattato, o qualcosa del genere, se rendo l'idea?

— Penso di sì — disse McLeod, esitante. — Se è necessario.

— A quanto pare lo è. Non ha avuto fortuna in nessuno dei sistemi vicini?

— No.

— Allora Procione VIII è la nostra maggiore speranza. Dica ai suoi uomini che raddoppieremo lo stipendio, per questo nuovo viaggio. E cerchi di fare il più rapidamente possibile. Mi affido a lei.

— Il viaggio nell'iperspazio è praticamente istantaneo — disse McLeod. — Abbiamo trascorso quasi tutto il tempo della nostra crociera viaggiando con il semplice motore a ioni di pianeta in pianeta. Ma l'iperspazio è facile da attraversare, ed è istantaneo.

— Bene. Che sia un viaggio istantaneo, allora. Ritorni a Nairobi e faccia tutte le operazioni necessarie. Ricordi che è urgente, molto urgente. Dobbiamo avere uno di quegli stranieri qui, per discutere del trattato.

— Farò del mio meglio — disse McLeod.


Walton continuò a fissare la poltrona vuota, che prima era stata occupata da McLeod, anche quando l'uomo se ne fu andato da tempo, e cercò di immaginare un dirnano verde seduto là davanti a lui, intento a fissarlo con i suoi tre occhi. Che razza di immagine!

Cominciava a sentirsi come un bambino sulle montagne russe. L'attività di Poppy procedeva su tanti fronti, che era impossibile mantenere le idee lucide. Dopo un poco, la testa cominciava a girare. E ogni ora portava nuovi problemi da affrontare, nuove sfide da accettare, nuove grane da risolvere, e soprattutto nuove decisioni da prendere. E bisognava sempre fare in fretta, perche l'unica cosa che mancava era proprio il tempo.

In quel momento, c'erano troppe uova e troppo poche ceste per contenerle. Walton si rese conto di commettere lo stesso errore che aveva commesso FitzMaugham, e cioè portare troppe cose, tra le attività di Poppy, nel contenitore offerto dalla sua riverita testa. Se gli fosse accaduto qualcosa, le operazioni sarebbero state paralizzate, e ci sarebbe voluto del tempo prima che le ruote potessero rimettersi di nuovo in moto.

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